“Sono sempre stato una persona che ha dato il massimo per arrivare dove pensava di poter arrivare anche se altri pensavano fosse impossibile – ha spiegato il campione spagnolo -. Al Barcellona credevo di essere circondato da giocatori più talentuosi di me, e infatti ero autodistruttivo. Quando capitava una sconfitta mi chiudevo in camera per ore pensando fosse tutta colpa mia, ma il giorno dopo arrivavo all’allenamento con la voglia di dimostrare che la mia prestazione era solo un episodio e che il giorno dopo sarei stato un calciatore migliore. A 32 anni, quando militavo nel Monaco, non riuscivo a fare più la differenza in campo e non avevo più nella testa la voglia di migliorarmi. All’arrivo del Covid la Ligue 1 si è fermata e nei 5 mesi trascorsi in casa ho iniziato a studiare per ottenere il patentino Uefa B. Ho parlato con vari allenatori, mental coach, fisioterapisti, preparatori atletici e video analist con cui ho analizzato molte partite pensando a come poter mettere in difficoltà le squadre a seconda del loro atteggiamento in campo. Ho creato un database e ho continuato fin quando questa passione è diventata una realtà”.
L’occasione è arrivata al Como: “Cercavo un progetto lungo termine – ha concluso Fabregas – non volevo fare un anno o due in un club magari più importante e ritrovarmi a pensare cosa fare una volta scaduto il contratto. Il Como mi ha dato l’opportunità di finire la carriera in campo e di prepararmi come allenatore: era tutto quello che potevo sognare. Sono arrivato in una società che ha avviato un progetto ambizioso, con le idee molto chiare riguardo a dove vuole arrivare e come farlo”.
FOTO Holneider Alessandro – Archivio Ufficio Stampa PAT
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