La finale tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, attesa come una delle sfide più vibranti della stagione, si è risolta in appena 23 minuti. Non per un capolavoro tecnico, ma per un ritiro dovuto a malessere da parte di Jannik, una sospensione intima tra la lotta agonistica e i limiti fisici imposti da condizioni ambientali estreme.
Le temperature, tra i 30 e i 33 °C con umidità tra il 50% e il 57%, hanno trasformato il campo in un forno a cielo aperto, provocando scompensi fisici in una competizione che avrebbe dovuto celebrare l’apice del tennis moderno.
Sinner, numero uno al mondo, è apparso sin dall’inizio in condizioni precarie: scambi rallentati, errori insoliti, movimenti impacciati. A metà del primo set, sul 5‑0 per Alcaraz, ha abbandonato la sfida. “Da ieri non mi sentivo bene”, ha ammesso durante la premiazione. “Pensavo di migliorare durante la notte, ma è andata peggio. Mi dispiace molto deludervi”.
Un finale amaro per il pubblico, che paga per una sfida attesissima ed invece osserva un ritiro precoce e una vittoria inusuale da parte di Alcaraz. Nonostante tutto, lo spagnolo ha dimostrato cuore e rispetto: si è avvicinato a Sinner per consolarlo, accompagnato poi da un gesto già iconico. Con un pennarello ha scritto “Sorry Jannik” sulla telecamera di bordo campo, simbolo di un rispetto e di un’empatia rari nelle finali di tennis.
Questo episodio ha acceso riflessioni nel mondo tennistico: perché programmare finali al pomeriggio in condizioni così avverse? Non è la prima volta che i giocatori accusano il caldo; in settimana anche Rinderknech aveva ceduto per sfinimento, e altri si sono trovati a gesti disperati tra ghiaccio e pause forzate. La situazione evidenza la necessità di nuove strategie: una riflessione sul calendario, orari più tollerabili, tutele per i campi più caldi. È un bivio tra conservare la tradizione (finali pomeridiane sul cemento) e mettere davvero al primo posto la salute e il valore tecnico degli atleti.





